Apparenza in condominio k.o.

Pagine a cura 
di Gianfranco Di Rago

Il principio di apparenza non ha più dimora stabile in condominio. L’unico soggetto legittimato passivo nei confronti del condominio in merito al pagamento degli oneri per la gestione dei beni e dei servizi comuni è infatti il condomino, ossia il proprietario o titolare di altro diritto reale sull’unità immobiliare, e non anche chi semplicemente appaia tale. Sbaglia, quindi, l’amministratore che rivolga la propria pretesa impositiva a chi pare essere condomino, perché magari abita in condominio e/o partecipa alle relative assemblee, e l’eventuale decreto ingiuntivo ottenuto nei sui confronti è destinato a essere revocato, ove tempestivamente opposto. Lo strumento che l’amministratore ha a sua disposizione per dipanare la spesso intricata matassa è naturalmente il Registro dell’anagrafe condominiale, il cui periodico aggiornamento consente sempre di sapere chi siano gli effettivi condomini in un dato momento storico. È arrivata dalla Cassazione l’ennesima bocciatura della cosiddetta apparenza condominiale, con la recentissima sentenza n. 724 pronunciata dalla sesta sezione civile e pubblicata lo scorso 15 gennaio 2020.


Il caso concreto. Nella specie era appunto accaduto che la persona che abitava un’unità immobiliare aveva ricevuto nel 2005 dall’amministratore condominiale la notifica di un decreto ingiuntivo per il mancato pagamento pro quota delle spese resesi necessarie per la manutenzione straordinaria dell’edificio.


Il predetto ordine giudiziale era quindi stato prontamente impugnato, poiché il destinatario aveva notificato nei termini al condominio un atto di citazione in opposizione, sostenendo la propria estraneità al debito vantato dal condominio ed eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva.


In questo caso bisogna ammettere come non fosse così scontato per l’amministratore condominiale riconoscere la situazione di apparenza del diritto. Il soggetto al quale era stato richiesto il pagamento delle spese condominiali abitava infatti nell’edificio condominiale ed era solito partecipare alle assemblee condominiali. Anzi, nella riunione in cui si era discusso dei lavori di manutenzione dello stabile aveva sostenuto un aspro confronto con gli altri condomini, opponendosi strenuamente all’approvazione della relativa deliberazione. Quest’ultimo, nell’opporre il decreto ingiuntivo notificatogli, aveva quindi evidenziato come fosse semplicemente usufruttuario dell’unità immobiliare in questione e come le spese deliberate dal condominio in ordine ai lavori di manutenzione straordinaria dello stabile fossero di competenza del nudo proprietario dell’appartamento. 


Il tribunale, pronunciandosi sull’opposizione nel 2010, aveva però confermato il decreto ingiuntivo opposto, ritenendo che l’opponente non avesse dimostrato i propri assunti difensivi, avendo depositato in giudizio copia di un atto pubblico dal quale emergeva la donazione della nuda proprietà di un immobile facente parte di un edificio sito nella stessa piazza in cui sorgeva l’edificio condominiale, ma con un diverso numero civico. Nel presentare appello avverso la suddetta sentenza l’usufruttuario aveva allora prodotto in giudizio della documentazione rilasciata dal comune e dalla quale emergeva che l’edificio indicato nel menzionato atto di donazione era il medesimo sul quale insisteva il condominio, poiché nel frattempo si era provveduto alla mera modifica del suo numero civico.


La Corte d’appello aveva comunque a sua volta confermato la sentenza di primo grado, evidenziando come, pur trattandosi di spese di manutenzione straordinaria, l’appellante fosse comunque da ritenersi soggetto passivamente legittimato, avendo partecipato alla relativa assemblea condominiale senza dichiarare che tali spese sarebbero state di competenza del nudo proprietario, inducendo quindi in errore l’amministratore.


Nel cassare la sentenza impugnata la Suprema corte ha quindi in primo luogo evidenziato come nel corso dei procedimenti di merito fosse stata accertata la circostanza che le opere alle quali facevano riferimento le spese comuni ingiunte dall’amministratore erano di carattere straordinario.


Di conseguenza, in base alla disciplina codicistica sul riparto delle spese tra usufruttuario e nudo proprietario, le stesse erano da considerarsi a carico di quest’ultimo. Quindi l’amministratore avrebbe dovuto provvedere a pretendere le stesse dal solo nudo proprietario, richiedendo nei suoi confronti l’emissione del decreto ingiuntivo.


Da questo punto di vista, quindi, l’usufruttuario, pur essendo condomino, era soltanto apparentemente tenuto al pagamento delle spese condominiali, essendo viceversa le stesse di competenza del nudo proprietario.


Vi è da osservare come con la legge di riforma del condominio del 2012 la questione del riparto delle spese condominiali tra usufruttuario e nudo proprietario sia stata risolta dal legislatore in senso favorevole per l’amministratore. Infatti l’ultimo comma del nuovo art. 67 disp. att. c.c. ha introdotto la solidarietà dei predetti soggetti rispetto all’obbligo di pagamento delle spese condominiali. Di conseguenza, almeno da questo punto di vista, l’amministratore può anche non distinguere tra usufruttuario e nudo proprietario nel momento in cui deve riscuotere le spese condominiali, potendole richiedere indistintamente all’uno e all’altro.


Il principio dell’apparenza in ambito condominiale. L’obbligo del registro di anagrafe condominiale dovrebbe ridurre al minimo i casi di soggetti che soltanto apparentemente rivestano la qualità di condomini, ossia di proprietari o titolari di diritti reali su una o più unità immobiliari.


L’apparenza del diritto è un principio generale dell’ordinamento giuridico, che tutela la buona fede e il ragionevole affidamento dei terzi che un determinato fatto, poiché appare in un certo modo, esista effettivamente sul piano del diritto così come si è manifestato. In base a tale principio il soggetto che abbia colposamente concorso a creare una situazione di incertezza nei rapporti con i terzi è chiamato a rispondere dei danni che questi abbiano subito per avere in buona fede fatto affidamento nella situazione che appariva essere quella corrispondente al vero. Si tratta di uno strumento di tutela importante per il terzo in buona fede, che potrebbe subire gli effetti pregiudizievoli dei comportamenti dolosi o colposi del soggetto sul quale abbia fatto affidamento.


Detto principio, però, come chiarito anche dalla recente sentenza dello scorso 15 gennaio, non si applica in condominio. L’orientamento sfavorevole a tale applicazione è infatti stato confermato dalle sezioni unite della Cassazione nel 2002, spiegando che nel rapporto tra condominio e singolo condomino un’esigenza di tutelare l’affidamento incolpevole del condominio e, quindi, di dare corpo e sostanza a una situazione apparente per non pregiudicare il condominio medesimo, non si pone affatto. Innanzitutto il condominio non è terzo ma una parte del rapporto, sicché rispetto a esso non è possibile convertire l’inesistente titolarità del diritto di proprietà nell’effettiva titolarità e l’inesistente legittimazione in un’effettiva legittimazione nascente dalla situazione di apparenza. Inoltre è da escludere la necessità, ai fini della tutela della buona fede del condominio, di collegare effetti giuridici a una situazione apparente, come avviene nelle ipotesi di applicazione del principio di apparenza del diritto, nelle quali, in mancanza di tale collegamento, il terzo incolpevole non vedrebbe sorgere il rapporto sulla cui esistenza e validità aveva senza sua colpa confidato, perché il rapporto giuridico tra il condominio e il singolo condomino, proprietario esclusivo di unità immobiliari, esiste in ogni caso nella realtà, essendo espressamente previsto dagli articoli 1123 c.c. e 63 disp. att. c.c.


Ecco che, allora, come detto, il condomino apparente non può mai essere considerato un vero condomino e, come tale, da un lato non ha diritto di essere convocato e partecipare all’assemblea o accedere alla documentazione condominiale, dall’altro non può ovviamente essere obbligato a pagare le spese di gestione dei beni e dei servizi comuni, le quali, quantunque detto soggetto utilizzi un’unità immobiliare sita nell’edificio, andranno sempre addossate al proprietario o titolare di altri diritti reali, ossia al vero condomino.